martedì 24 settembre 2013

biografia minima 2° parte

IL CORPO VITE ,IL CORPO VIA, INIZIO DI UNA NUOVA MALATTIA

Non so se avete mai fatto caso, che quando subentra una malattia, la sua denominazione, finisce quasi sempre in "ITE oIA".esempio: colite, gastrite, bronchite, tendinite, fascite, oppure tendinopatia, distrofia, discopatia,cervicobrachialgia. Quando finisce in "ite" quasi sempre si tratta di un'infiammazione, quando finisce in "ia" si tratta di una disfunzione dell'organismo. Questi tipi di sintomi si addentrano, nel nostro corpo a volte irruentemente, ma in altri casi serpeggiano lentamente fino quasi impossessarsi completamente della nostra vita, insinuandosi, nei meandri delle ossa o all'interno delle viscere o alterando diabolicamente la prestazione neuro-motoria. Il 2004 fu l'anno in cui iniziai avvertire le prime avvisaglie, dell'anticamera di alcune patologie che poi successivamente si svilupparono in maniera preponderante nella mia persona. Avvertii, inizialmente che il camminare quotidiano mi procurava fastidiosi dolori sotto la pianta del piede, dolori che si inerpicavano a grappolo lungo la caviglie e le cosce. Un continuo sfiammare ed infiammare, nella fascia sotto la pianta del piede. Un problema insolito, di cui non ero a conoscenza e che iniziò ad inquietare fortemente  limitando la mobilità del vivere quotidiano. Ma mentre ero teso e volto alla cura di questa fastidiosa sintomatologia, ben presto si affacciò lungo le braccia lo spettro di un dolore invalidante. Era come una linea dolorosa che dall'avambraccio seguitava a camminare fino alle mani, e più queste venivano utilizzate per l'uso quotidiano di scrivere, afferrare, o aprire oggetti, e più sentivo la mancanza di sensibilità nelle stesse, una vera e propria parestesia degli arti. Tutto ciò, iniziò a gettarmi nel più cupo sconforto allorché scoprì, il marchio delle diagnosi che mi rendevano disabile. Sul tronco superiore mi dissero che mi era venuta a far visita a una certa signora dal nome "cervicobrachialgia da discopatia con conseguente reticolopatia". Insomma tre ernie cervicali poste in zone cruciali,c3 c6 e "cci tua" . Si una maledizione, che soggiogava, le mie braccia è inginocchiarsi dal dolore. Nella zona invece sottostante del tronco, si affacciò il guardiano del passeggio, una sorta di vigile, che controllava il metraggio effettuato dai piedi, fischiando rumorosamente dal dolore acuto. Costui aveva un nome più semplice ma pur sempre fastidioso "fascite biplantare con conseguente iperpressione rotulea". A volte, ci rendiamo conto di quanto siamo cagionevoli, nel momento esatto che ci viene a mancare la prosperosa ed entusiasmante attività corporea. Ed è così che l'umano ingaggia una lotta per debellare la sofferenza. Ad ogni dolore può crescere l'angoscia di una nuova metamorfosi e quindi la paura di un nuovo impedimento del vivere. Perché trovarsi dalla più vibrante e mirabolante, vitalità, dall'entusiasmante energia della percezione dei sensi guidati dalla libertà motoria, alla costrizione forzata dell'essere, può essere qualcosa di dirompente. In questa battaglia impari, che la mente ingaggia con il dolore, su un terreno purtroppo a lei congeniale, la mente perde fin quanto essa non diventa saggezza, che porta alla comprensione del malessere come risorsa. Questa illuminante deduzione scaturì un giorno che gli eventi sincronici mi condussero nella visione del film   dal titolo"lo scafandro e la farfalla"tratto dalla storia vera del giornalista Jean Dominique boubi.Metaforicamente lo scafandro rappresentava  la sedia a rotelle, mentre la farfalla la sua immaginazione, che volava verso luoghi pregnanti di bellezza e i ricordi di abbagliante concretezza. Quel film lo vidi con  occhi  ben vivi e feci  in modo che quella sensazione mi entrasse nelle ossa, e si facesse carne. Il suo modo di narrare la storia dall'interno del personaggio che era disgraziatamente colpito da sindrome "di locke"(rarissima patologia di paralisi neuromotoria che investe quasi tutto il corpo), che lo costringeva a vegetare tra il letto e il suo scafandro, lo trovai a dir poco spettacolare. La pellicola subito dopo poco, coraggiosa, diventa reazione impetuosa, quando il personaggio, Jean Dominique inizia a comunicare con l'unica cosa che gli fosse rimasta mobile: l'occhio destro. Ed è proprio sfruttando la mobilità di questo piccolo frammento corporeo convesso, ultimo baluardo visibile del reale, che Jean Dominique è riuscito nella sua opera portentosa di scrivere un libro.Jean Dominique realizzó nella sua mente che la sua malattia era un'occasione per assaporare un nuovo cammino interiore, che l'avrebbe portato a compimento dell'opera., proponimento sognato ma mai realizzato. Ecco quindi che le nostre malattie in "ite o ia" rappresentano l'inizio per delle nuove "vite" o la scoperta di una nuova "Via"………
(Segue la scoperta della poesia espressa)

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